Le partnership trentine al supporto dei municipi di Beira e Nampula nella gestione dei rifiuti

Le partnership trentine al supporto dei municipi di Beira e Nampula nella gestione dei rifiuti

Un momento di incontro, aggiornamento, confronto rafforza il tavolo di collaborazione che sta portando avanti un percorso ricco e fruttuoso

A due anni dal kick-off meeting che ha sancito l’avvio del progetto si è tenuto venerdì 22 luglio 2022 un incontro tra tutti i partner in Italia di Limpamoz, un programma di intervento nelle città di Beira e di Nampula in appoggio alle municipalità nella sfida al grande problema dello smaltimento dei rifiuti cittadini.

Ospiti presso la sede di Dolomiti Energia, partner tecnico, l’incontro si è aperto con un pensiero al presidente del Gruppo Dolomiti Energia Holding, Massimo De Alessandri, scomparso improvvisamente da qualche giorno.

Come rammentato da Mario Mancini, presidente di Progettomondo, l’ONG di Verona capofila del progetto finanziato da AICS, i due anni trascorsi dal precedente incontro in questo stesso luogo sono stati connotati da una pandemia che ha letteralmente stravolto il mondo. Portare avanti un progetto così complesso in tale contesto non è stata una sfida facile, ma le cose realizzate sono state molte e tante sono le persone da ringraziare per aver contribuito a tutti i risultati già raggiunti.

Nella parte tecnica di approfondimenti sul progetto Federico Berghi (capo progetto a Beira) e Dario Guirreri (responsabile tecnico a Nampula), hanno sintetizzato tutto il lavoro fatto finora nelle due città, aggiornando i partecipanti sullo stato attuale del progetto, sui tanti risultati già raggiunti nel supporto tecnico ai municipi di Beira e Nampula, nell’educazione ambientale, nel sostegno alle microimprese di raccolta e differenziazione dei rifiuti nonché rispetto a due ambiti cruciali: la gestione dei rifiuti sanitari e della frazione organica.

Il Professor Marco Ragazzi e Ada Castellucci del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento hanno riferito delle attività di divulgazione e disseminazione che culmineranno con due pubblicazioni scientifiche. Le tematiche del progetto sono già state presentate ad un convegno nazionale a Napoli e ad un convegno internazionale del Wessex Institute, a cui sono seguite due pubblicazioni su due riviste scientifiche. Si sono inoltre presi i contatti con il CETAMB di Brescia per collaborazioni future. Nei prossimi mesi, oltre a Ada Castellucci, che inizierà un dottorato su questi temi, altre tre giovani dell’Università di Trento saranno a Beira per progetti di ricerca.

Carlo Realis, già dirigente presso Dolomiti Energia, ha portato la propria testimonianza raccontando della sua missione di ottobre 2021 a Beira. Interessanti considerazioni tecniche emergono approcciandosi alle problematiche della gestione dei rifiuti urbani di un paese in via di sviluppo partendo dall’esperienza del Trentino e del progressivo sviluppo di un sistema, ora all’avanguardia, che però ha una storia molto recente: non molti decenni fa la situazione era paragonabile a quella di Beira. Uno dei nodi principali messi in risalto è la sfida della sostenibilità economica per le imprese municipalizzate. Tante sono comunque le difficoltà specifiche del contesto, difficili da comprendere dall’esterno.

Una di queste difficoltà è quella di cui ha riferito Paolo Rosatti, presidente del CAM, discussa in occasione della missione a Beira realizzata a maggio 2022 con Isacco Rama: problemi di stabilità nel terreno dove è prevista la costruzione del centro di compostaggio. Si tratta di uno degli imprevisti tecnici e finanziari più complicati per il progetto finanziato da AICS, che ha di fronte a sé un ultimo anno di attività.

Nella tavola rotonda finale Donata Dalla Riva di Progettomondo ed Isacco Rama di CAM hanno portato la riflessione alle prospettive future del progetto raccogliendo l’entusiasmo di tutti i partner a continuare nel percorso identificando anche nuove modalità di finanziamento ed opportunità di collaborazione. Anche Silvia Silvestri del Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach e Loris Dallago di ISER srl hanno riaffermato il desiderio di continuare su questa strada anche oltre la conclusione del finanziamento principale, valorizzando la partnership attuale e con la possibilità di ampliarla ulteriormente.

I PARTECIPANTI ALL’INCONTRO

  • Mario Mancini, Donata Dalla Riva, Federico Berghi, Dario Guirreri – Progettomondo
  • Maddalena Parolin, Ada Castellucci, Paolo Rosatti, Isacco Rama – Consorzio Associazioni con il Mozambico
  • Marco Ragazzi – Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento
  • Carlo Realis, Andrea Miorandi – Dolomiti Energia Holding SpA – Dolomiti Ambiente
  • Luisa Casonato – MLAL Trentino
  • Silvia Silvestri – Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach
  • LorisDallago – ISER srl
Too Far to Walk

Too Far to Walk

La mortalità materno-infantile rappresenta una grande sfida per il Mozambico e, ad aggravare la situazione, l’intensificarsi del cambiamento climatico causa sempre più spesso eventi catastrofici. 

Massimiliano e Tatiana, attraverso la loro ricerca svolta con il CAM e UN-Habitat nelle province di Sofala e Manica e il loro progetto di tesi dal titolo “Too Far to Walk”,  ci raccontano di come sia possibile avvicinare le donne gravide alle cure parentali e all’educazione sanitaria base attraverso strutture chiamate “Maternity waiting homes”.

Sono passati sei mesi dal nostro rientro dal Mozambico. I ricordi di questa esperienza tra i villaggi e le storie delle madri delle province di Sofala e Manica sono immortalati nelle fotografie, nei messaggi di amici e colleghi ma soprattutto nel nostro progetto di tesi, presentato alla commissione di laurea poco prima di Natale 2021.

La nostra ricerca si è costruita attorno al tema della Casa de Mãe-Espera (Maternity Waiting Home), una struttura indispensabile nelle aree rurali del Mozambico, nata con lo scopo di accorciare la distanza tra le madri prossime al parto e i centri di salute. Si tratta di un alloggio temporaneo, a pochi metri dai reparti di maternità, dove le donne hanno l’opportunità di passare le ultime settimane di gravidanza in compagnia di altre future mamme, giornalmente visitate dal personale sanitario, pronte ad avvicinarsi al momento del parto in sicurezza. Senza queste “case d’attesa”, la distanza che separa molte future madri dalla possibilità di effettuare un parto sicuro inizia a rappresentare un pericolo per la loro stessa salute e quella dei nascituri. Numerosi parti infatti avvengono lungo il cammino che le donne intraprendono quando arrivano le prime contrazioni, spesso sole, a piedi, indipendentemente dal momento della giornata, dal tempo o dal loro stato di salute. Le tradizioni locali tutt’oggi prediligono il parto in casa della famiglia della suocera, soprattutto nell’area centrale del Mozambico, dove il sistema unisce le famiglie seguendo le regole patriarcali. Ma le condizioni sanitarie non sempre sono sotto controllo e, in caso di complicazioni, i neonati e le donne, che spesso al primo figlio hanno 15 o 16 anni, rischiano di perdere la vita durante il parto.

Casa de mãe-espera di Guara Guara – Sofala (distretto di Buzi)

Tale situazione è ulteriormente esacerbata dal cambiamento climatico.

Infatti, la costa Mozambicana è fortemente vulnerabile ad eventi climatici estremi interessati da un costante aumento da inizio secolo. Forti venti e piogge si traducono in inondazioni e cicloni tropicali che si abbattono con furia su un sistema infrastrutturale, urbano ed agricolo già estremamente fragile, mettendo a rischio così la salute di milioni di persone.

Pertanto, nelle aree a rischio di catastrofi naturali, l’intervento strategico della Casa de Mãe-Espera non si limita a creare un riparo ma deve essere affrontato con un approccio resiliente, basato sull’utilizzo di soluzioni resistenti ai fenomeni climatici e fortemente radicate nella cultura locale, così da garantire un primo passo nella maternità sicuro e dignitoso.

Traendo ispirazione dal concetto di “distanza”, il titolo del nostro lavoro è “Too far to Walk”, letteralmente “troppo distante da raggiungere camminando”. Esso cerca di rappresentare il momento in cui le madri si vedono costrette a “scegliere” ove poter trovare rifugio e assistenza in uno dei momenti più delicati delle loro vite. Lo scopo del nostro studio, dunque, è stato quello di affrontare la complessa dinamica della mortalità materno infantile mirando ad una sensibilizzazione della problematica e alla proposta di un progetto pilota di Casas de Mãe-Espera resiliente. Non un modello o un prototipo, ma una soluzione che potesse fungere da punto base per ulteriori sviluppi, preservando gli elementi culturali dell’abitare e le tecniche costruttive locali.

Allineandoci al progetto governativo che dal 2009 promuove uno sviluppo della Casa de Mãe-Espera su tutto il territorio nazionale e al programma Safer Hospital di UNHabitat, supportati dal team CAM di Beira abbiamo costruito la nostra esperienza sull’analisi di 20 casi studio nelle province di Sofala e Manica, tra quelle più duramente colpite dai cicloni Idai (2019), Chalane (2020) ed Eloise (2021). Per ogni circostanza abbiamo parallelamente studiato gli ambiti più tecnici (tipologie costruttive, tratti caratteristici e patologie strutturali) e quelli più umani, parlando con decine di donne ospiti delle Casas de Mãe-Espera che, tramite brevi interviste, ci hanno aiutato a capire quali fossero le problematiche quotidiane da loro affrontate all’interno delle strutture. Ascoltare le loro storie, camminando tra i cocci di una parete crollata e le lamiere di un tetto sradicato dal vento, porta inevitabilmente a chiedersi che ruolo effettivamente si stia ricoprendo in questi contesti e quanto le nostre semplici incuranze verso l’ambiente a casa, possano riflettersi in eventi estremi dall’altra parte del mondo.

Intervista alle madri della Casa de Mãe-Espera di Muda Serração – Manica (distretto di Macate)

Progettare e costruire Casas de Mãe-Espera resilienti non vuol dire risolvere il problema della mortalità materno infantile, tema che risulta essere ancora oggi una grande sfida per i Paesi in via di Sviluppo come il Mozambico. Ad aggravare ulteriormente la situazione, nello scenario di ricostruzione post emergenza climatica questa struttura viene considerata come l’intervento di minor rilevanza, in particolar modo nelle aree più isolate, dove invece la sua presenza risulta fondamentale per la salute delle donne delle comunità rurali.

Consapevoli dunque che l’architettura non è il fine ma solo uno strumento, non il solo-non il primo, per promuovere uno sviluppo sostenibile delle comunità locali e sensibilizzare le parti più estranee alla tematica, abbiamo affrontato il progetto della Casa de Mãe-Espera ragionando sulle atmosfere dei singoli padiglioni, pensando allo spazio per le madri tenendo in considerazione i loro pancioni, il peso, le abitudini giornaliere. La scelta dei materiali è ricaduta su elementi a loro familiari, in stretto rapporto cromatico con le tonalità che colorano i paesaggi delle loro case. La sabbia e la terra, presenti nel suolo, negli edifici, nella polvere alzata dai venti sono indubbiamente gli elementi predominanti del territorio africano, uno di quei luoghi al quale ci si può ancora riferire con il termine naturale, in opposizione all’ambiente dei paesi occidentali che è ormai totalmente antropizzato. Ad un suolo completamente disegnato e cementificato, in Mozambico si oppone l’esclusiva azione della natura.

Strada per Zembe, Manica (distretto di Macate)

In conclusione, per confrontarsi con le infinite superfici orizzontali della campagna ed affrontare il tema della mortalità materno infantile, l’architettura da noi immaginata dovrebbe costruire degli “interni” capaci di misurarsi con i gesti e i comportamenti umani. Il promuovere una Casa de Mãe-Espera “scandalosamente bella” (Gino Strada) e degna all’interno delle strutture sanitarie, (solitamente il luogo in cui le persone, in particolare le donne, sono più vulnerabili) porterà più donne a fidarsi di un sistema a loro estraneo, a sentirsi assistite e protette. La crescita di un supporto concreto anche in campagna contribuirà a rallentare il flusso di migranti verso le città ormai sature. E lo sviluppo delle tecniche costruttive all’interno delle varie comunità condurrà infine al moltiplicarsi di spazi consapevoli, che abbiano senso per chi li abita.

Testo e foto di Massimiliano Piffer e Tatiana Levitskaya.

Per consultare il testo integrale, vi lasciamo i riferimenti con i lavori sui loro portali ISSUU:

Bem-vinda de volta Ada!

Bem-vinda de volta Ada!

Ada Castellucci, già conosciuta dagli amici del CAM grazie alla sua esperienza come tesista a Beira e il profilo Instagram “tesistepercaso” gestito insieme a Valentina Caminati, è tornata in Mozambico per un tirocinio post-laurea e ci racconta della sua esperienza.

Nel trimestre marzo-maggio del 2021 sono stata per la prima volta in Mozambico, principalmente a Beira, per analizzare la gestione del rifiuto sanitario della città e provare a fare delle proposte interessanti da inserire nella mia tesi di laurea magistrale. Dopo circa un mese ho capito fino in fondo che forse era riduttivo per me pensare di essere lì solo per scrivere una buona tesi e raccontare storie interessanti con il profilo delle tesiste per caso. Più cose scoprivo relative al contesto mozambicano e alla gestione dei rifiuti, più mi rendevo finalmente conto, dopo vari corsi teorici, di quanto si allarghi la filiera e, di conseguenza, di quanto mi sarebbe piaciuto tornare a Beira per approfondire ulteriormente. In parallelo, in particolare grazie alle visite sul campo di alcuni progetti presenti e passati del CAM e alle riunioni d’equipe dell’ufficio del lunedì mattina, ho potuto conoscere e apprezzare sempre più l’operato del CAM.

Sono quindi rientrata in Italia e ho anticipato la presunta data di laurea da ottobre a luglio per riuscire a ripartire per altri tre mesi prima del nuovo anno. Con gli ultimi esami e la tesi da concludere non è stato molto semplice, ma mia madre sta ancora ringraziando il CAM per avermi fatta laureare rapidamente, e io per avermi fatta ripartire.

Questo mio secondo periodo a Beira è durato due mesi e mezzo e si è configurato come tirocinio post-laurea, un percorso offerto dall’Università di Trento grazie ad una borsa di studio. Prima della mia partenza abbiamo fissato i miei obiettivi più prossimi principalmente per quanto riguarda i due progetti sulla gestione dei rifiuti in cui il CAM è coinvolto: il progetto Limpamos Moçambique e il progetto SIRSU. Ho seguito una formazione di tre giorni a Rimini nell’azienda partner del progetto SIRSU, Newster Group, per poter facilitare l’installazione della sterilizzatrice per il trattamento dei rifiuti ospedalieri di tutta la città, su cui si incentrava principalmente la mia tesi di laurea. 

Arrivata a Beira il pomeriggio del 7 ottobre non ho avuto tempo nemmeno di aprire le valige che subito c’è stata una riunione per la sterilizzatrice che non volevo assolutamente perdere, nonostante sul finale le 19 ore di volo si facessero sentire. 

La valutazione e la supervisione degli ultimi avanzamenti del cantiere dell’edificio che ospita la sterilizzatrice si sono rivelate una bella sfida per me. Da un lato c’era il nostro partner italiano, un’azienda che richiedeva determinati parametri tecnici per l’installazione della macchina lasciandone alcuni a nostro piacere. Dall’altro lato c’era un’impresa edile mozambicana priva di una panoramica chiara dei lavori necessari per un macchinario che per la prima volta entrava in Mozambico. In mezzo io, giovane neolaureata senza esperienza e con un portoghese molto poco tecnico, affiancata fortunatamente da validi collaboratori mozambicani del CAM. Ricordo la gioia che provavo ogni giorno nell’entrare all’Hospital Central di Beira dopo un anno di studio tra l’Italia e il Mozambico e una tesi di laurea magistrale e vedere quella casetta gialla della sterilizzatrice davanti al vecchio inceneritore che piano piano veniva terminata. E che belle soddisfazioni ho avuto in quell’ospedale! Interagire sempre di più con chi ci lavora e con i collaboratori mozambicani del CAM mi ha permesso di sentirmi parte di un buon lavoro di squadra, apprezzato anche durante una visita dell’Agenzia Italiana della Cooperazione allo Sviluppo, finanziatore del progetto.

Non solo in ospedale, ma anche negli uffici del CAM il lavoro di squadra prendeva sempre più forma. A differenza del primo periodo a Beira come tesista, in questa seconda esperienza è stato possibile per me entrare maggiormente in contatto tanto con i progetti del CAM quanto con il mondo del lavoro a Beira. Con una migliore conoscenza del portoghese ho potuto innanzitutto comunicare di più con i colleghi, i collaboratori e i diversi partners dei progetti.

Oltre alle divertenti pause pranzo con i colleghi mangiando l’ottimo cibo di donna Marta (una cuoca da cui un collega procura spesso il pranzo per tutti), in particolare nell’ultimo mese ho apprezzato moltissimo la disponibilità di tutto il team del progetto Limpamos nell’aiutarmi con la realizzazione di interviste in sette Centri di Salute della città. L’obiettivo delle interviste era quello di capire e vedere come viene gestito il rifiuto e raccogliere dati per stimarne le quantità prodotte giornalmente.

La situazione a Beira è critica per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, senza eccezioni per quelli di tipo ospedaliero. Non è stato sempre facile vedere alcuni Centri di salute scavare buche in cui bruciano tutto e sentirsi raccontare che spesso i cumuli di rifiuto pericoloso sono un’attrattiva per i bambini del quartiere, non avendo una recinzione perché spazzata via da cicloni o rubata.

Le due settimane di missione da Trento di Paola Bresciani, Sofia Rinaldi e Carlo Realis sono state un altro piacevole momento di grande fermento e scambio. Per quanto riguarda le tematiche legate alla gestione del rifiuto urbano, è stato molto interessante avere un confronto diretto con l’esperienza di Carlo in Dolomiti Ambiente, soprattutto su tutta l’evoluzione del sistema di raccolta, trasporto e smaltimento che lui stesso ha vissuto in Trentino e sulla necessità di un rinforzo della parte gestionale a monte dei possibili servizi. Con Paola e Sofia ho potuto capire maggiormente cosa c’è dietro un progetto e come lavora la loro parte di ufficio CAM a Trento, oltre a scoprire due piacevolissime coinquiline.

Infine, l’arrivo di Susanna Ottaviani, ultima tesistapercaso del CAM, e l’assisterla nella prima ambientazione e nella ricerca di dati mi ha motivata molto, ricordandomi sia quante cose mi ha insegnato la mia precedente esperienza, sia che questa collaborazione tra l’Università e il CAM è qualcosa che continua ad arricchire molto e molti.

Non mi resta quindi che fare tesoro di questa collaborazione, ringraziare tutti e salutare il Mozambico: non è un addio, è solo un até já!

Foto e testo di Ada Castellucci.

Il mercato Maquinino, il cuore pulsante di Beira

Il mercato Maquinino, il cuore pulsante di Beira

Il Mercato Maquinino è uno dei luoghi protagonisti degli interventi di riqualificazione nell’ambito della Gestione dei Rifiuti Solidi Urbani del CAM a Beira. E’ anche uno dei luoghi preferiti di Paolo Ghisu – ex rappresentante di Paese della nostra organizzazione e oggi volontario –  che durante il suo tempo libero a Beira vi ha dedicato delle riflessioni e degli scatti. Li riportiamo di seguito.

Maquinino è il più grande mercato alimentare di Beira, e si trova nel suo centro commerciale. Oggi, ci sono circa 4000 venditori nella zona, ma prima della crisi covid-19 c’erano solo 2400 venditori ufficiali. Negli ultimi mesi, molte persone hanno perso il lavoro e ora cercano di guadagnarsi da vivere nel mercato. Tuttavia, questi numeri sono solo un’approssimazione, poiché ci sono migliaia di persone che vanno lì ogni giorno in cerca di un lavoro quotidiano. Per rendere le cose più complicate, l’infrastruttura del mercato è molto precaria ed è stata gravemente danneggiata dai cicloni degli ultimi due anni (Idai nel 2019, Chalane alla fine di dicembre del 2020, e Eloise nel gennaio 2021), e in molte delle sezioni manca il tetto.

Nel Mercato Maquinino vengono prodotti circa 35-40 M3 di rifiuti al giorno, l’85% dei quali è organico. Migliorare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti attraverso la formazione, la disponibilità di migliori attrezzature, la sensibilizzazione dei venditori del mercato e dei clienti è uno degli obiettivi di LIMPAMOZ, un progetto attuato da CAM e Progettomondo con il sostegno di Agenzia Italia per la Cooperazione allo Sviluppo. Un primo passo importante che porterà alla creazione di un centro di compostaggio in città che produrrà compost di alta qualità dai rifiuti organici generati nei mercati, ristoranti, ecc. Questa è una delle varie attività destinate a rendere Beira una città più pulita, più bella e più sostenibile.

Profilo Instagram di Paolo Ghisu per ulteriori immagini e parole sul Mozambico

Nhaconjo Resiliente: sfide, speranze e primi risultati

Nhaconjo Resiliente: sfide, speranze e primi risultati

Tetti che volano, muri che cadono, travi che si spezzano: è questa l’esperienza dei cicloni in Mozambico negli ultimi anni, racconta Mario Cardoso – Esperto Tecnico delle Infrastrutture del Distretto di Salute della Provincia di Sofala.

In che modo la Ricostruzione Resiliente può essere una risposta alle sfide imposte dalle calamità naturali?

La sicurezza parte dalle fondamenta, dalla tecnica – secondo Cardoso. Ma non dipende solo da essa. Fernando Ferreiro, architetto di UN – Habitat Mozambique sostiene che la ricostruzione  resiliente sia una cultura da apprendere, perché è un problema che riguarda tutti.

Costruire la responsabilità collettiva è il presupposto imprescindibile per la sostenibilità nel lungo periodo, sulla quale si gioca – secondo Matias Culpa – l’efficacia del metodo della Ricostruzione Resiliente.

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I lavori di riabilitazione dell’Ospedale di Nhaconjo sono iniziati il mese scorso. Nelle foto vi mostriamo i risultati della ricostruzione del primo e del quarto blocco dell’Ospedale.

Nhaconjo Resiliente è un progetto in partnership con UN-Habitat Moçambique e finanziato da Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – Sede di Maputo con l’obiettivo di riabilitare il Centro Sanitario Urbano di Nhaconjo, a beneficio di donne, bambini e uomini colpiti dal ciclone Idai. 

Per saperne di più sulla Ricostruzione Resiliente leggi questo articolo di approfondimento!