da Consorzio Associazioni con il Mozambico - CAM | 29 Ott 2020 | Storie
E’ online la raccolta completa dei volti e delle storie di “Humans of CAM” la rubrica pubblicata sui social tra il 2019 e il 2020. Il progetto, a cura di Giacomo Toniolli e Francesca Bina, con la collaborazione di Francesca Bailoni e Lorenzo Dalbon ha raccolto decine di interviste ai collaboratori del CAM a Caia e a Beira. Le testimonianze raccontano le loro storie, le loro passioni, come sono arrivati al CAM, le sfide del loro lavoro.
Visualizza la raccolta di foto e storie “Humans of CAM”.
da admin | 27 Ago 2020 | Progetti in Mozambico
Nelle ultime settimane del mese di agosto siamo entrati nel vivo delle attività del Programma di UNDP Mozambique “Mozambique Recovery Facility – Insieme per un recupero resiliente” promosso dal CAM a Beira.
Questo programma, declinato a Beira nel progetto “Recupero dei mezzi di sussistenza ed empowerment economico delle donne” si propone molteplici obiettivi:
- coinvolgere 2000 persone, in prevalenza donne, in lavori di utilità pubblica (tra cui raccolta primaria di rifiuti urbani, separazione del materiale che può esser venduto e riciclato, pulizia dei canali di drenaggio, cura del verde urbano) a fronte di un reddito minimo;
- fornire ai nuovi lavoratori la possibilità di forme di auto-impiego, indirizzandoli in attività di lavoro autonomo, a partire dall’identificazione delle loro necessità, affinché alla fine del progetto siano in grado di avere un’attività di rendita con la quale sostenere le loro famiglie.
Un altro obiettivo è quello di incentivare pratiche di risparmio, risparmio collettivo e investimenti collettivi per alcuni tipi di attività.
Un quadro approfondito del Programma viene offerto in questo precedente articolo: CAM e UNDP: insieme per la resilienza delle comunità.
In queste settimane, sono prima state selezionate le famiglie che beneficeranno del progetto nei quartieri di Macuti e Munhava, due quartieri in cui la densità popolata è molto elevata e in cui i servizi di utilità pubblici sono molto scarsi. Le famiglie sono state scelte tramite delle interviste semi-strutturate, volte a conoscere il contesto socio-economico e le loro aspirazioni. In genere, si tratta di situazioni precarie: persone senza lavoro o con lavori saltuari, alla giornata, che permettono a malapena il sostentamento alimentare. Una precarietà, questa, peggiorata dall’ondata di cicloni dello scorso anno e dal prolungato stato di emergenza sanitaria di quest’anno.
Sono poi stati consegnati gli attrezzi per il lavoro e infine, il 24 agosto, sono iniziate le attività di raccolta dei rifiuti solidi urbani nei mercati, nelle fosse di drenaggio, strade e intorno ai cassonetti nei quartieri di Macuti e Munhava.
da admin | 24 Ago 2020 | Progetti in Mozambico
Molte famiglie trentine conoscono probabilmente il servizio della “Tagesmutter”. Per chi non la conoscesse, si tratta di una donna che si prende cura, a pagamento, di piccoli gruppi di bambini in età prescolare presso la propria dimora, con modalità e orari flessibili, facilitando in tal modo la vita di molte famiglie lavoratrici; si tratta di un servizio organizzato secondo precise linee guida ed in genere collegato a delle cooperative, che riuniscono le donne offrendo diversi servizi tra i quali la formazione.
Un ruolo simile esiste anche in Mozambico, in particolare nelle città, dove prende il nome portoghese di “Mãe Cuidadora” e anche qui è un punto di riferimento importante per diverse famiglie, considerando anche la carenza di servizi per la prima infanzia (scuole materne). Tuttavia, le mães lavorano in maniera informale e questo comporta dei rischi tanto per il loro lavoro quanto per i bambini e le loro famiglie. Per questo motivo, necessitano di una formalizzazione del loro ruolo, alla quale si è pensato nell’ambito del Progetto “EducaMoz – Per un’educazione prescolare inclusiva e di qualità anche a Caia” – promosso da Terre des Hommes Italia e con il supporto finanziario di AICS Cooperazione Italiana del 2018- da attuarsi in collaborazione con il Ministero degli Affari Sociali in Mozambico – MGCAS– e l’associazione trentina ” Tagesmutter il Sorriso“.
Il progetto ha previsto, per il primo anno, che si svolgesse un’attività di ricerca sul territorio nazionale Mozambicano tesa a conoscere approfonditamente il radicamento di questo servizio sul territorio ed in che modo il servizio formalizzato avrebbe potuto integrarsi con la cultura locale. La ricerca si è svolta in due fasi, durante le quali sono stati intervistati, tramite intervista semi-strutturata, rispettivamente 67 mães cuidadoras e 41 famiglie per tracciarne il profilo e approfondire, da un lato, la motivazione che spinge le mães a scegliere questo lavoro, e dall’altro lato, ad indagare le aspettative dei genitori.
Dalla ricostruzione dell’indagine è emerso che, generalmente le mães sono donne adulte (il 48% delle intervistate ha un’età compresa tra i 40-59 anni) e un basso tasso di scolarizzazione (solo il 34% delle intervistate ha completato la 5° o 6° classe). La ragione per cui svolgono quest’attività è l’auto-sostentamento economico. Il guadagno si aggira intorno ai 9-22 euro per bambino al mese, una somma che il 56% delle intervistate integra con il guadagno percepito da un ulteriore lavoro informale, che svolgono parallelamente all’attività della mãe.
Le famiglie intervistate risultano soddisfatte del servizio e sostengono che le mães cuidadoras rappresentano un servizio sicuro, in quanto i bambini sono affidati ad un adulto fidato, flessibile perché accolgono i bambini presso la propria dimora e non hanno degli orari rigidi e accessibile perché sono facilmente raggiungibili da casa. Inoltre, l’affidamento dei bambini alla mãe giova anche ai fratelli maggiori che, non dovendo prendersi cura dei fratelli minori durante le ore lavorative dei genitori, possono frequentare la scuola.
I servizi di base offerti sono l’alimentazione, l’igiene e la sicurezza del bambino; l’aspetto pedagogico rimane invece invisibile. Le mães sono infatti percepite e si percepiscono come bambinaie e non hanno alcuna pretesa educativa. D’altronde, il loro servizio nasce per far fronte alle necessità socio-economiche sia delle famiglie, che hanno bisogno di lasciare i propri figli in mani sicure mentre si trovano a lavoro, sia delle mães che provvedono autonomamente al proprio sostentamento.
Tuttavia, nella letteratura sullo sviluppo della prima infanzia si sostiene che, l’educazione informale alternativa a quella prescolare giochi un ruolo altrettanto importante nello sviluppo integrato del bambino e che, pertanto, non va sottovalutata l’influenza educativa esercitata da figure come le mães cuidadoras sui bambini in questi primi anni di vita.
Non avendo però riscontrato alcun elemento pedagogico nel fenomeno d’interesse, si è ritenuto opportuno posticipare il riconoscimento delle mães al terzo anno di progettualità e proseguire lo studio per la definizione di standard minimi di riferimento, prepedeutici al riconoscimento formale. A tal proposito, si è svolto un workshop al quale hanno partecipato 26 enti tra istituzioni e organizzazioni che si occupano dello sviluppo della prima infanzia, tra cui la sudafricana Early Care Foundation, MINEDH, SDGCAS Kamavota, UP, Instituto Mwana, IFPP, CARE, PATH, Zizile IDC, Wona Sanana, Childlife, che insieme hanno elaborato i seguenti standard minimi:
Tema |
Standard minimi |
Sicurezza, salute, igiene e nutrizione |
Ambiente sicuro, ovvero garantire la sicurezza dello spazio, attraverso:
· Un recinto intorno alla casa
· Oggetti pericolosi e taglienti fuori dalla portata dei bambini
· Fornelli, forno, braci e pentole calde fuori dalla portata dei bambini
· Pozzo, recipienti di acqua, latrine e fossa per i rifiuti sono correttamente tappate |
Ambiente igienico e sano, attraverso:
· Latrina tappata e disponibilità di acqua per l’igiene e la pulizia
· Esistenza di una fossa per i rifiuti fuori dalla portata dei bambini
· Tip-tap (rubinetto tradizionale) o rubinetto con sapone o cenere
· Animali (in caso ci siano galline, maiali, papere) sono chiusi in un recinto per garantire la pulizia del cortile della casa
· Non presenza di stagni nel cortile |
Alimentazione sana e nutritiva (in caso la mãe cuidadora è responsabile della preparazione del cibo):
· Esistenza di un menù quotidiano sano e nutritivo, con alimenti variati e equilibrati
· Bambini alimentati in accordo con l’età, sia per le quantità e tipi di alimenti
· Esistenza di un bidone di acqua bollita e trattata da bere
· Condizioni corrette per la conservazione degli alimenti. |
Attività pedagogiche |
Organizzare un ambiente stimolante per i bambini, che sia:
· Uno spazio per il gioco sicuro, pulito, arieggiato e con ombra se all’aperto
· Con materiali e giochi in buono stato, puliti, ben organizzati e accessibili
· La mãe cuidadora produce regolarmente nuovi giochi e materiali pedagogici
· Il bambino può sperimentare, tentare, sbagliare e tentare di nuovo
· Il bambino può giocare da solo ma anche comunicare e interagire con altri bambini |
Uso di una routine quotidiana che comprenda:
· Colazione, pranzo, merenda / attività libere / attività di gruppo / racconti di storie /giochi e danze / momento di riposo
· Le attività sono gestite in modo che permettano un buon apprendimento del bambino |
Questi principi sono stati in seguito testati nell’esperienza pilota svoltasi a partire dal gennaio del 2020 nella provincia di Maputo, per la quale è stata inoltre messo a disposizione un sistema di micro-fondi per l’acquisizione per generare forme di auto-impiego femminile ed aumentare i servizi di qualità prescolare. Il fondo è stato poi utilizzato per l’acquisizione dei kit durante l’esperienza pilota (kit di igiene, kit di pronto soccorso e kit di materiale pedagogico e con gli strumenti per l’autoproduzione di materiale).
Il processo di riconoscimento delle mães non è ancora concluso ma il CAM continua a sostenere Terre des Hommes nel portarlo avanti, perché crediamo fortemente che questo progetto possa contribuire a due obiettivi che ci stanno a cuore:
- garantire un potere sociale ed economico alle donne;
- consolidare l’idea che non solo la famiglia e gli asili sono responsabili dello sviluppo dell’infante, ma l’intera comunità.
da admin | 18 Dic 2019 | Storie
Da quasi un anno Francesca Bina svolge il Servizio Civile Nazionale all’estero in Mozambico. Durante la sua permanenza a Caia ha incontrato il gruppo di teatro Mãe para Mãe rimanendone colpita.
“Ho conosciuto il gruppo Mãe para Mãe dell’Associazione Mbaticoyane lo scorso marzo, non appena sono arrivata a Caia. Dopo aver conosciuto tutte le attività del CAM qui nel distretto ho scelto senza grossi dubbi di esplorare più a fondo questa, perché ho un particolare interesse per il teatro.
Il primo giorno non lo scorderò mai: alle 15.30 con Elias arriviamo alla Casa de Saude e realizziamo dopo mezz’ora che le partecipanti avevano tutte “tirato il pacco”, come si suol dire. Tutte tranne una. Sdraiata su una stuoia c’era Vitoria, una donna magra, con sguardo spento e qualche lacrima sul viso, con suo figlio lì accanto che dormiva beato. Provo a scambiare due parole con lei con l’aiuto di Elias; mi racconta che ha appena perso il marito con il ciclone a Beira e adesso si trova sola con a carico due bambini; lei sieropositiva e anche il più piccolo. Anche i vicini di casa la evitano, si sente molto sola. Ha cominciato a gennaio con il gruppo di teatro. Questo incontro mi conferma il fatto di voler entrare dentro il teatro di Mbaticoyane.
Dal giovedì successivo, quindi, comincio a partecipare alle prime prove: il grande scoglio è stato inizialmente quello della lingua e sapevo che il processo di creazione di fiducia reciproca sarebbe stato lungo, più lungo sicuramente rispetto ad altri luoghi.
Per un abbondante periodo ho continuato ad osservare e a cercare di entrare sempre un po’ più dentro le dinamiche del fare teatro del gruppo: l’osservazione per me è stata fondamentale, perché mi ha permesso di studiare bene i comportamenti e cominciare a conoscere le persone. Anche dal modo di recitare si capiscono tante cose di una persona, senza necessariamente dover fare troppe domande. Ho mantenuto l’impegno il più costante possibile, come per dire “guardate che ci sono e mi piace quello che fate!”.
Ebbene si, perché il teatro del gruppo Mãe para Mãe non è il teatro che ci si immagina: non ha nulla a che vedere con la dizione, con i testi classici o con i versi recitati a memoria; è un teatro comunitario con uno scopo esclusivamente sociale.
Il gruppo, composto prevalentemente da donne, mette in scena piccoli spettacoli con l’obiettivo di far riflettere gli spettatori e le comunità sopra tematiche sanitarie: in particolare buone prassi sull’HIV, come assumere i medicinali, consigli sul non abbandonare le cure, sul recarsi in ospedale, il dialogo tra medicina tradizionale e medicina dell’ospedale, rompere il silenzio riguardo alcune chiusure mentali relative ai malati di HIV e non solo, i diritti delle donne, ecc.
Tutte queste tematiche vengono affrontate negli spettacoli che Mãe para Mãe porta in scena nelle comunità: non importa la raffinatezza del teatro, importa soprattutto che le persone si immedesimino nella situazione che viene rappresentata, per cercare di innescare una sorta di riflessione collettiva nella speranza di cambiare mentalità sul lungo periodo, ovviamente.
La grande forza del teatro sta proprio in questo; riuscire a comunicare anche solo con un gesto, senza parlare, con il semplice sguardo, con il semplice movimento del proprio corpo, è un vero acceleratore di integrazione tra le persone, con la sua straordinaria capacità di abbattere qualsiasi barriera linguistica mettendo al centro proprio l’espressione e il movimento. Tutto il corpo.
Nella mia prima fase di osservazione, mi sono accorta di quanto il teatro sia acceleratore di messaggi perché sicuramente riesce ad arrivare laddove non riesce l’ospedale; le persone hanno meno diffidenza nel sentire altre persone che, come loro, sono sieropositive e senza paura lo raccontano.
Si, perché questo gruppo di donne sa bene cosa vuol dire convivere con l’HIV e, proprio per questo motivo si mette in gioco e lo racconta, perché capisce l’importanza di abbattere lo stigma dell’HIV e della condizione del malato qui a Caia.
Dopo aver osservato, ho deciso di mettermi in gioco anche io, perché sentivo che la fiducia reciproca stava via via aumentando. Inizialmente ho promosso una piccola formazione tecnica e da lì inaspettatamente, il gruppo mi ha proposto di recitare il 1 dicembre in occasione della Giornata Mondiale contro l’HIV.
Lo scoglio più grande per me continuava ad essere la comunicazione, perché ovviamente gli spettacoli sono in cisena, la lingua locale, ma abbiamo adottato un escamotage per non far percepire questa differenza… e ci sembra aver funzionato!
La grande forza del teatro sta proprio in questo; riuscire a comunicare anche solo con un gesto, senza parlare, con il semplice sguardo, con il semplice movimento del proprio corpo, è un vero acceleratore di integrazione tra le persone, con la sua straordinaria capacità di abbattere qualsiasi barriera linguistica mettendo al centro proprio l’espressione e il movimento. Tutto il corpo.
A teatro le differenze sono davvero il punto di forza: nel teatro si riesce realmente a sperimentare che, indipendentemente dal colore di pelle, le persone si trovano sullo stesso piano. Si crea la sintonia, l’empatia e la relazione che porta a vederci persone e non “mzungu” e “mozambicani”, “bianchi” e “neri”, “capo” e “dipendenti”.
Il teatro arriva, parla, gioca con le persone che lo fanno e il pubblico che assiste, con la speranza di renderlo sempre più attivo e critico. Ma con la speranza anche di far crescere le persone che si mettono in gioco e in questo Vitoria per me è stata un esempio incredibile. Oggi anche lei sale sul “palco”, si diverte, ride, grida quando deve gridare e piange quando deve piangere.
Spesso le attività artistiche vengono fatte passare in secondo piano o sono le prime a cui vengono tagliati i fondi, perché non si riescono chiaramente a trovare degli indicatori per dimostrare empiricamente i risultati raggiunti: d’altronde, mi pare piuttosto complicato trattandosi di una attività artistica.
Però davvero auguro a tutti di poter incontrare la propria Vitoria che, con serenità, si confronta con le sue difficoltà e trova la chiave di lettura per poterle superare.
Per lei questa chiave è stata ed è tuttora il teatro.”
Francesca Bina
da admin | 26 Nov 2019 | Progetti in Mozambico
La nostra collaboratrice Francesca Bina ha recuperato per noi alcune testimonianze da parte delle donne dell’associazione Grupo de Mulheres De Partilha De Ideaias De Caia creato grazie al percorso di formazione e sensibilizzazione per attiviste promosso dal CAM nel 2018. Grazie alle biciclette fornite dal progetto Mozambikes, queste donne riescono a coprire un’area estesa fornendo servizi sanitari e coinvolgendo la comunità in formazioni sui temi della sanità, dell’alimentazione e soprattutto dei diritti di genere
Joana Luis vive a Sombe, una comunità del Distretto di Caia, ma che è sprovvista di strada e nove mesi su dodici l’anno è completamente sommersa dall’acqua o dal fango che si crea proprio perchè non esiste una strada.
“Questa bicicletta mi permette di raggiungere Caia Vila in due/tre ore di pedalata, invece che mezza mattinata di camminata. Per me è molto importante, significa dimezzare i tempi e riuscire a incontrare più donne per poter portare avanti il mio lavoro legato alla sensibilizzazione sui diritti che spettano a noi donne.”
Dona Mariana Jolindo, energica e con voce possente aggiunge: ” E’ vero, spesso i diritti di noi donne vengono messi da parte, ci vengono negati. La società ci vede e ci pensa solo in funzione dell’uomo; dobbiamo pensare alla casa, alla machamba e ai figli, ma avremo diritto anche noi a impiegare il nostro tempo come meglio crediamo?” E orgogliosa mi mostra il video sul cellulare delle due giornate di formazione tenutesi a Tete con tutti i gruppi di Sofala delle Mae de Partilha
Roseta Baera arriva da Murraça e anche lei concorda molto sulla questione dell’ottimizzazione dei tempi di spostamento. “Io lavoro prevalentemente a Murraça, ma, se ogni tanto mi capita di andare a Caia, è sempre difficile organizzare il trasporto. Ora con questa bicicletta non mi sembra vero.”
Julia Maria Tomé, del Grupo de Mae de Partilha de Sena è una donna forte e determinata, parla a nome delle tre donne che lavorano a Sena e fanno sensibilizzazione riguardo i diritti delle donne. “La bicicletta è un mezzo fondamentale per spostarsi dentro le comunità, spesso le strade sono inesistenti e a piedi i tragitti sono molto lunghi. Questa bicicletta per me rappresenta autonomia e indipendenza. Peccato solo che quando c’è qualche problema è difficile trovare i pezzi di ricambio perchè è fatta in modo un po’ diverso dalle nostre e anche la chiave per togliere i bulloni è diversa.”
Rosa Domingos, invece, non fa parte del Grupo Mae de Partilha de Caia, lavora invece nel gruppo teatrale dell’Associazione Mbaticoyane che si occupa di sensibilizzare le comunità sopra i temi dell’HIV, TBC, sul prendere bene le medicine, sul non abbandonare le cure e sul rompere il silenzio e la vergogna sopra queste tematiche. “In quanto anche io malata mi sento molto legata a questo lavoro, mi piace andare nelle comunità e poter lanciare un messaggio diverso attraverso uno spettacolo teatrale preparato insieme alle altre donne che lavorano con me. Un messaggio che possa dire di cambiare un po’ la mentalità che sta intorno alla malattia e la cura dei malati e su come certe malattie sono viste. Con la bicicletta sicuramente ho acquisito un’autonomia che prima non avevo, sono molto felice.”