“Gestione dei rifiuti in contesti in via di sviluppo: un esempio da Beira, Mozambico”

“Gestione dei rifiuti in contesti in via di sviluppo: un esempio da Beira, Mozambico”

La produzione incessante di rifiuti continua ad essere una delle più grandi minacce che la nostra società e il nostro pianeta deve affrontare. Cosa accade in realtà dove la gestione dei rifiuti non è efficace come la nostra?

In occasione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, abbiamo organizzato il convegno “Gestione dei rifiuti in contesti in via di sviluppo: un esempio da Beira, Mozambico”.

Durante la serata ascolteremo la testimonianza di Carlo Realis, direttore di Dolomiti Ambiente, da poco rientrato dalla sua missione con il CAM, durante la quale ha visto con i propri occhi cosa succede in Mozambico nella città di Beira. Capiremo poi come si può intervenire per migliorare la gestione dei rifiuti urbani nel contesto di un progetto che il CAM, insieme ai propri partner ed enti locali, porta avanti dal 2016 in questa importante città.

Il convegno si svolgerà in MODALITÀ ONLINE il giorno 25 novembre dalle ore 18:30 alle ore 20:00 sulla piattaforma Meet; a tutti i partecipanti verrà inviato un link per unirsi all’evento. 

Tra i relatori:

  • Dario Guirreri di Progettomondo, responsabile tecnico a Nampula del progetto LimpaMOS MOÇambique;
  • Martina Ferrai, vicepresidente CAM e ingegnere ambientale di ISER srl, moderatrice dell’incontro.

Per iscriverti o avere maggiori informazioni scrivici a: info@trentinomozambico.org

Per rivedere la diretta

Se non sei riuscito/a a seguire il convegno in diretta puoi recuperarlo:

Corso di lingua portoghese e cultura mozambicana – Nuova Edizione

Corso di lingua portoghese e cultura mozambicana – Nuova Edizione

Sta per partire una nuova edizione del corso di lingua portoghese e cultura mozambicana tenuto dal CAM!

Il corso sarà strutturato in 10 appuntamenti, dal 16 novembre al 1 febbraio, e si svolgerà in modalità online per dare la possibilità di partecipare anche a chi non è vicino a Trento. La parte di lingua sarà tenuta da Nicola Baggiani, insegnante di portoghese con diverse esperienze lavorative a Lisbona. La piattaforma utilizzata sarà Google Meet e sarete seguiti dalla tutor Francesca Capacci.

Il costo è di €50.

Il corso è di livello base, corrispondente al livello A1 del quadro linguistico europeo, e si pone l’obiettivo di favorire un primo approccio alla lingua e alla cultura mozambicana. Il corso è strutturato in due momenti: si alternerà una lezione interamente dedicata alla lingua (dalle 18:00 alle 19:30) ad una suddivisa tra lingua e cultura mozambicana (dalle 17:30 alle 20) in cui, oltre alla correzione degli esercizi di lingua, verranno trattati temi come musica, arte, geografia ecc. raccontati da esperti e amici del CAM.

A tutti gli interessati condivideremo il calendario dettagliato e il programma del corso.

Per maggiori informazioni o per iscrivervi scriveteci a info@trentinomozambico.org

A presto!

Grazie agli amici della sCAMpagnata!

Grazie agli amici della sCAMpagnata!

Un grazie di cuore da parte del CAM agli amici e alle amiche che domenica 26 settembre hanno partecipato alla seconda edizione della sCAMpagnata Solidale!

Ci ha fatto un immenso piacere rivedere vecchi amici e conoscerne di nuovi. La vostra presenza numerosa è stata per noi preziosa e un segno di grande affetto e vicinanza.

Le vostre generose donazioni saranno impiegate per supportare le attività di assistenza domiciliare e sensibilizzazione che l’Associazione Mbaticoyane realizza nelle comunità rurali di Caia. A tal proposito, nel corso della giornata abbiamo avuto il piacere di leggere una lettera ricevuta da parte del Servizio Distrettuale di Salute, per la Donna e l’Azione Sociale che riportiamo qui sotto:

Il Serviço Distrital de Saúde Mulher e Acção Social di Caia ringrazia la vostra prestigiosa Istituzione per il sostegno incommensurabile dato. Al giorno d’oggi, è raro trovare Istituzioni che abbiano le qualità che voi avete dimostrato. L’aspetto umanitario della vostra Istituzione è una nobile caratteristica che possiamo solo riconoscere.

Grazie al vostro sostegno, abbiamo fatto un passo da gigante nella realizzazione delle attività per combattere l’epidemia di diarrea che sta devastando la città di Caia.
Vi informiamo che il settore è a vostra disposizione per condividere qualsiasi informazione che possa essere utile per la materializzazione di qualsiasi progetto.

Ancora una volta, vi ringraziamo per tutto.

Serviço Distrital de Saúde Mulher e Acção Social

Parole, queste, che fanno bene al cuore, ci emozionano e ci riempiono di speranza.

Ancora una volta grazie e a presto!

sCAMpagnata Solidale – Seconda Edizione!

sCAMpagnata Solidale – Seconda Edizione!

Una camminata in compagnia dalla Malga Doss del Bue al Rifugio Paludei, con pranzo in malga. Un modo per ritrovarsi e stare insieme dopo la bellissima esperienza della prima edizione.

CHI – L’invito è per tutti i soci, amici, volontari e simpatizzanti del CAM: familiari e amici sono i benvenuti!

QUANDO domenica 26 settembre, in caso di brutto tempo l’escursione verrà annullata e faremo solamente il pranzo.

DOVE – Ritrovo alle ore 9:45 presso la Malga Doss del Bue con partenza alle ore 10 per il Rifugio Paludei. La malga è raggiungibile in auto da Vattaro. In prossimità del campo da calcetto, si lascia la strada SS 349 e si imbocca la via Doss del Bue, in direzione dell’hotel Alpenrose; dopo circa 3,6 km si giunge alla Malga Doss del Bue. Il percorso a piedi per raggiungere il rifugio è percorribile in 45 minuti da fare anche al ritorno, su strada sterrata immersa tra boschi di faggi, larici e abeti, prati. Il dislivello è di circa 170 m. Se qualcuno avesse difficoltà nella camminata e  volesse partecipare al pranzo, può tranquillamente raggiungerci direttamente alla Malga alle 12:30.

MENU – Sarà possibile scegliere tra un bis di primi con canederli al burro e gnocchi di polenta con fonduta di formaggio, oppure un piatto unico con polenta e, a scelta, formaggio alla piastra, salsiccia o pasta di lucanica, con contorno di fagioli o cavolo cappuccio. Alcune delle portate sono adatte anche per vegetariani, vegani e celiaci. E’ possibile comunque fare variazioni in base alle esigenze. Si potrà mangiare sui tavoli all’aperto oppure, in caso di maltempo, all’interno della struttura muniti di Green Pass.

RACCOLTA FONDI – il ricavato delle offerte raccolte sarà impiegato per supportare le attività di assistenza domiciliare e sensibilizzazione che l’associazione Mbaticoyane realizza nelle comunità rurali di Caia. Nonostante questo sia stato un anno duro e ricco di sfide, l’associazione non si è mai fermata e ha continuato a portare avanti le iniziative di sensibilizzazione alla salute e assistenza domiciliare ai malati. L’offerta minima – incluso il pranzo – è di 20 € (per i bambini concordare in base a ciò che ordinano per pranzo), che verrà raccolta all’arrivo alla Malga. Durante il corso della giornata verrà anche realizzata l’estrazione di alcune capulane mozambicane.

PRENOTAZIONI – entro il 23 settembre scrivendoci a: info@trentinomozambico.org o laura.mansutti@trentinomozambico.org

Vi aspettiamo!

(Foto: Consorzio Turistico Vigolana, Azienda per il Turismo Alpe Cimbra)

SCUP al CAM!

SCUP al CAM!

SCUP AL CAM! Selezioniamo tre giovani per due nuovi progetti di servizio civile in partenza a settembre presso la sede di Trento.

  •  Un/a giovane per il progetto “Avvicinamento al Ciclo di Progetto nella Cooperazione Internazionale – seconda edizione“ da svolgersi nell’ambito della Progettazione. Qui la versione integrale e di sintesi del Progetto.
  • Due giovani per il progetto “Dal Trentino all’Africa: imparare facendo rete – seconda edizione” da svolgersi nell’ambito dell’amministrazione e rendicontazione di progetti e comunicazione in partnership con CUAMM TrentinoQui la versione integrale e di sintesi del Progetto.

Sei interessato/a alla Cooperazione Internazionale e ti piacerebbe scoprire di più sul Mozambico? Con un’esperienza di servizio civile al CAM potrai farlo! Se hai tra i 18 e i 28 anni potrebbe essere l’occasione giusta per te!

Il progetto avrà inizio l’1 settembre e durerà 12 mesi. Durante il corso del progetto avrai l’opportunità di essere formato/a sui temi della cooperazione e del volontariato, sviluppare competenze variegate (comunicazione, amministrazione, progettazione e fundraising), entrare a far parte di una rete di associazioni più ampia e prepararti ad entrare nel mondo del lavoro!

L’impegno medio richiesto è di 30 ore settimanali, con un contribuito di € 600 mensili.

Hai tempo fino a domenica 18 luglio per inviarci la tua candidatura.

Prima di candidarti ufficialmente al progetto ti invitiamo ad inviare una mail con il curriculum all’indirizzo di posta elettronica cam@trentinomozambico.org oppure contattarci telefonicamente, in modo da ricevere orientamento ed eventuale supporto nei passaggi tecnici.

Inoltre ricordati di aderire allo SCUP tramite l’identità digitale SPID. Maggiori informazioni su come fare sono disponibili sulla pagina dedicata del Servizio Civile Universale Provinciale.

Ti invitiamo ad inoltrare questa informazione a tutte le persone che possono essere interessate!

testimonianze

Un anno fa, in questo periodo, iniziavo il mio periodo di servizio civile al CAM. Finita l’università, ho sentito il bisogno di “mettere le mani in pasta”, di concretizzare la mia voglia di mettermi in gioco nel mondo della cooperazione internazionale.
Ad un anno di distanza posso dire di aver intrapreso un percorso di crescita personale e sviluppo professionale in cui il CAM è stato uno dei miei migliori maestri e, tra gli alti e i bassi, uno dei miei maggiori alleati.

Sofia Rinaldi

Ufficio di Progettazione

“La mia esperienza di Servizio Civile con il CAM è stata soddisfacente perché ha risposto alle mie aspettative originarie di crescita e sviluppo personale. L’associazione mi ha permesso di svolgere il mio percorso nel migliore dei modi: lasciandomi sperimentare, agire e sbagliare in autonomia rimanendo tuttavia al mio fianco per qualsiasi tipo di supporto. E’ stata l’esperienza che cercavo: un contatto concreto con il mondo del lavoro.

Marika Sottile

Ufficio Comunicazione

Ho scelto il progetto “Dal Trentino all’Africa: imparare facendo rete” perchè mi piaceva molto l’idea di collaborare con due enti e scoprire l’Africa insieme a loro. Con CAM e CUAMM Trentino sto imparando tanto e non smetto di imparare cose nuove ogni giorno. Sono una persona che ama fare cose diverse e questo progetto mi sta permettendo di mettermi in gioco ed imparare cose che riguardano sia l’area amministrativa, ma anche quella della comunicazione.

Erlinda Sinani

Ufficio di Amministrazione e Comunicazione , CAM e CUAMM

Il Mozambico nella morsa della “maledizione delle risorse”

Il Mozambico nella morsa della “maledizione delle risorse”

© foto di Gianpaolo Galileo Rama

Conoscerete oramai la campagna Vivila in 3D. A chi non sa di cosa si tratta si consiglia di leggere questo nostro articolo di presentazione del progetto e di visitare il sito della campagna per farsi un’idea. Di seguito invece vi proponiamo un’articolo concepito nell’ambito di questo progetto e dedicato al Mozambico. Marianna Malpaga – in servizio civile presso Vita Trentina e appassionata di giornalismo – dialoga con il professore Corrado Diamantini del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università degli Studi di Trento e collaboratore del CAM riguardo alla “maledizione delle risorse in Mozambico”.

 

Abbiamo scelto di parlare del conflitto di Cabo Delgado perché, oltre ad essere un tema di stringente attualità, ci consente di presentare alcuni concetti chiave che emergeranno nella prima fase della campagna di sensibilizzazione Vivila in 3D, dedicata alla “lettura delle etichette”. Possiamo leggere le etichette dei prodotti quando compriamo qualcosa al supermercato, ma possiamo anche iniziare a “leggere le etichette” in senso lato, domandandoci ad esempio da dove viene ciò che consumiamo quotidianamente (o che potremmo consumare in futuro).

A Cabo Delgado, infatti, c’è il gas naturale e ci sono delle multinazionali che lo estraggono. Questa, come ci ha spiegato il professore dell’Università di Trento Corrado Diamantini, non è l’unica causa del conflitto, ma è certamente un elemento che acuisce l’insoddisfazione della popolazione locale, e che di conseguenza alimenta la guerra.

Oltre al conflitto di Cabo Delgado, è l’intero stato dell’arte delle politiche di sviluppo in Mozambico che ci consente di affrontare concetti chiave per la cooperazione internazionale, lo sviluppo e la sostenibilità: il land grabbing e la maledizione delle risorse.

Cabo Delgado, “l’eldorado del gas” al centro del conflitto 

A inizio marzo, Amnesty International pubblicava un report con un titolo piuttosto eloquente: What I saw is death, “Quello che ho visto è la morte”. Il documento si riferisce a quanto sta avvenendo nel Nord-est del Mozambico, precisamente nella provincia di Cabo Delgado, dove è in corso un conflitto che vede contrapporsi un gruppo jihadista che i locali chiamano Machababos, da al-Shabaab (in somalo “la gioventù”), e le milizie nazionali e private – a cominciare dalla sudafricana Dyck Advisory Group – assoldate dal governo mozambicano per far fronte all’insorgere dell’estremismo islamico.

Il Mozambico assurge raramente agli “onori” della cronaca, fatta eccezione per le catastrofi naturali che l’hanno colpito negli ultimi anni, primi fra tutti, nel 2019, i cicloni Idai e Kenneth. Il secondo, in particolare, si è abbattuto a fine aprile proprio nella provincia di Cabo Delgado.

Il 24 marzo, racconta Antonio Tiua in un articolo apparso sul giornale mozambicano “O Pais”, Palma era una città “praticamente deserta”. L’ultimo attacco documentato di al-Shabaab, durato dieci giorni, ha avuto come epicentro proprio questa cittadina del Nord-est del Mozambico, e ha costretto molti dei suoi abitanti a rifugiarsi a Pemba, capoluogo della provincia di Cabo Delgado. Palma, come hanno confermato le forze di difesa governative, è stata poi abbandonata dai jihadisti. Questa incursione, però, è solamente l’ultimo episodio di un conflitto che si protrae dall’ottobre del 2017, quando al-Shabaab condusse per la prima volta un attacco a Mocimboa da Praia.

È un caso che le rivendicazioni del gruppo jihadista locale, che non ha niente a che vedere con la formazione somala al-Shabaab, si concentrino in una provincia che l’organizzazione non governativa francese Les amis de la Terre ha definito l’eldorado gazier, cioè “l’eldorado del gas”? Il Mozambico è un Paese ricco di materie prime con un’economia che è cresciuta nello scorso decennio a ritmi elevatissimi. Eppure, nel 2019 l’indice di sviluppo umano (HDI in inglese), che aggrega gli indicatori su aspettativa di vita, istruzione e reddito pro capite, non superava lo 0,456, lasciando il Paese al 181° posto di una classifica che comprende i 193 Paesi membri delle Nazioni Unite.

Uno scenario complesso: i fattori in gioco

Le circostanze descritte fino ad ora potrebbero portare a una lettura semplificata del contesto, che però non corrisponde alla realtà: il conflitto ha molteplici cause, e non può essere ricondotto alla sola presenza di importanti giacimenti di gas naturale e di altre risorse naturali a Cabo Delgado. Le cause della guerra in atto a Cabo Delgado non sono direttamente riconducibili all’estrazione di gas naturale, cui partecipano la Francia, con Total,  l’Italia, con Eni, e  gli Stati Uniti con Exxon Mobil. Ciò non vuol dire che la “questione delle risorse” non vi rientri. Ne parliamo con Corrado Diamantini, professore dell’Università di Trento e membro della cattedra Unesco in Ingegneria per lo sviluppo umano e sostenibile della stessa Università. Il professore, che è stato a più riprese in Mozambico, collabora con il Consorzio Associazioni con il Mozambico, che ha sede a Trento e a Beira (provincia di Sofala Mozambico), e conosce bene i luoghi in cui sono in corso gli scontri.

Diamantini suggerisce di staccarci per un attimo da ciò che sta avvenendo a Cabo Delgado e di guardare alla terra, la risorsa più preziosa per un Paese che vive di agricoltura, che in Mozambico è oggetto di accaparramento da parte di molti investitori esteri (land grabbing) con il concorso dello stesso governo. Un riferimento tra i tanti è costituito dal progetto ProSavana, frutto di un accordo stipulato nel 2010 tra Maputo, Tokyo e Brasilia, che permetterà a imprese giapponesi e brasiliane di sostituire la produzione familiare tipica dell’agricoltura mozambicana con monocolture intensive di soia. Con un “piccolo” inconveniente: gran parte della popolazione che abita quelle terre sarà costretta ad andarsene. In questo caso, però, come spiega Diamantini “la risposta non è violenta, ma consiste nella mobilitazione popolare e nell’azione delle organizzazioni contadine”. “Quindi – prosegue il professore – non si può stabilire un rapporto diretto di causa ed effetto tra sfruttamento delle risorse, tra cui quelle presenti a Cabo Delgado, e il conflitto in atto, altrimenti saremmo in presenza di una guerra generalizzata in tutto il Mozambico, a partire dalla provincia di Gaza, a sud, dove i cinesi estraggono terre rare pesanti, fino a Moatize, a ovest, dove i brasiliani estraggono carbone”.

Il conflitto di Cabo Delgado, che ha provocato sinora più di 2.500 morti e 700 mila sfollati, va ricondotto, secondo il professore, a tre fattori che agiscono in modo sinergico.

Il radicalismo islamico fa breccia lungo la costa mozambicana

Alessandro Vivaldi, in un articolo apparso su “Africa Rivista”, parla d’insurgency (“insurrezione”), più che di terrorismo, per definire quanto sta avvenendo nel Nord del Mozambico. Il primo attacco di al-Shabaab è avvenuto il 5 ottobre 2017, quando un gruppo di trenta uomini ha preso d’assalto la cittadina di Mocimboa da Praia, non lontana dal confine con la Tanzania. In realtà, la radicalizzazione del gruppo di giovani musulmani è avvenuta anni prima.

Il primo fattore del conflitto in atto a Cabo Delgado, come ci spiega Diamantini, è proprio “la radicalizzazione di un gruppo di giovani musulmani appartenenti a una minoranza della popolazione di Cabo Delgado, i Mwani”. “I Mwani vivono lungo la costa e nelle isole, praticano la pesca e il commercio risalendo l’Oceano Indiano con piccole imbarcazioni tradizionali, i dau”, prosegue Diamantini. “Parlano, oltre a kimwani, il kiswahili, ossia la lingua franca della costa orientale africana. Sono musulmani: da bambini frequentano più le madrasse che le scuole statali. Questo per dire che si tratta di una popolazione che è da sempre in contatto con altri Paesi, come la Tanzania e il Kenya. Se poi si tiene presente il traffico illegale di avorio, di rubini e di eroina, che, come è noto, proviene dall’Afghanistan, raggiunge l’Iran e da lì arriva a Cabo Delgado per poi proseguire per Durban e l’Europa, si ha l’idea di una regione piuttosto permeabile.

Da qui la facilità con cui hanno fatto il loro ingresso le idee fondamentaliste di cui si ha notizia ancora prima della scoperta delle risorse a Cabo Delgado. La fondazione di una setta, a cui partecipano tra l’altro anche figure provenienti dalla Tanzania e da altri Paesi africani, risale al 2007. Solo negli anni successivi questa setta, dopo l’addestramento locale e l’indottrinamento religioso all’estero di alcuni aderenti, si trasforma in un gruppo armato, facendo successivamente proseliti anche in altre zone del nord e del centro del Paese”.

Gli obiettivi militari di al-Shabaab, all’avvio delle operazioni, si trovano proprio lungo la costa, “in centri che sono abitati perlopiù da Mwani, come Mocimboa da Praia, Monjane e Mucojo”, spiega Diamantini. “Al-Shabaab si muove come se in questi assalti avesse avuto degli scopi premeditati: in primo luogo l’eliminazione di leader civili e religiosi. Infatti vengono uccisi religiosi musulmani e viene bruciato il Corano, perché si vuole mettere in discussione il modo con cui si pratica la religione, in nome dell’interpretazione autentica del Corano: non per nulla viene riportato che l’invocazione più frequente durante gli assalti è proprio ‘Sunnah’, ossia il codice di comportamento religioso. Solo successivamente compaiono il richiamo alla Jihad e alla creazione di uno stato autonomo”.

C’è quindi un primo elemento che ha poco a che vedere con le risorse e con l’eldorado teatro degli scontri tra il gruppo di al-Shabaab e le milizie assoldate dal governo mozambicano: “è la scelta di giovani che anche altrove hanno abbracciato l’estremismo, indipendentemente dalle proprie condizioni economiche e da quelle della popolazione in mezzo alla quale vivono”, afferma Diamantini. “Quando penso alla versione mozambicana di al-Shabaab, quello che mi viene in mente è Boko Haram in Nigeria”. Anche Eric Morier-Genoud, ricercatore della Queen’s University di Belfast che studia la storia dell’Africa lusofona, ha usato questo paragone per descrivere il movimento estremista mozambicano.

Se è vero che le risorse presenti a Cabo Delgado non sono la causa scatenante del conflitto in corso, è necessario ricordare che la questione delle risorse non scompare ma, anzi, riemerge con forza. “Al-Shabaab non acquista certo credito tra la popolazione provocando centinaia di migliaia di sfollati e morti indiscriminate”, dice il professore. “Quindi com’è che questo gruppo trova il consenso e si alimenta? E qui veniamo alla questione delle risorse, il secondo fattore in gioco”.

Le risorse tra epoca coloniale e ricostruzione post-guerra civile

“Uno dei primi gruppi a raggiungere al-Shabaab, ancora prima dell’assalto a Mocimboa da Praia del 2017, è quello formato da alcuni garimpeiros, i cercatori che estraggono abusivamente i rubini”, spiega Diamantini. “I garimpeiros erano stati attaccati da milizie private assoldate dalla Montepuez Ruby Mining, che ha in concessione la miniera di Cabo Delgado. Come è documentato, in seguito all’attacco i cercatori di rubini entrano nelle fila di al-Shabaab, nome con cui vengono chiamati i Machambabos”.

Molte delle risorse che giacciono in Mozambico sono state scoperte solo in anni recenti. Alcune, però, erano conosciute già durante il periodo coloniale: il carbone delle miniere di Moatize e l’acqua dei fiumi che attraversano il Paese, tra cui lo Zambesi. Ma non vengono sfruttate. “Fino al 1942, il Portogallo delega la gestione di gran parte della colonia a compagnie concessionarie private, soprattutto a capitale inglese”, racconta il professore. “In cambio di cosa? Delle imposte pagate dalle compagnie, le quali a loro volta si rifanno con gli interessi sulla popolazione africana. In pratica, il Portogallo cede la propria sovranità sulla colonia e ne ha in vantaggio proventi sicuri, oltre al fatto di non dover investire capitali. È esattamente quello che fa oggi il governo mozambicano quando, ad esempio, dà in concessione le miniere di carbone alla Vale, uno dei più grandi gruppi minerari del mondo, oppure i giacimenti di gas alle compagnie petrolifere. Gli investitori dispongono a tutti gli effetti delle risorse, il governo mozambicano, senza fare alcun investimento, ha in cambio i proventi dell’atto di concessione. Ma il problema non è tanto questo, quanto l’uso che viene fatto di questi proventi oltre che la delega delle scelte di sviluppo a investitori privati”.

Il governo portoghese, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, si limita a realizzare il collegamento ferroviario tra il giacimento minerario di Moatize e la linea ferroviaria che congiungeva Beira con il Nyassaland (oggi Malawi) e, assieme al Sudafrica, la diga di Cahora Bassa.

Lo sfruttamento delle risorse ha inizio anni più tardi, dopo l’indipendenza, con alcuni antefatti. “Nel 1984 il governo mozambicano si accorda con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale per una ‘liberalizzazione’ dell’economia”, racconta Diamantini. “Teniamo presente che il Frelimo, il partito al governo, aveva optato per il marxismo-leninismo, e quindi per un’economia controllata dallo Stato. Questo accordo prelude al cambiamento che avviene nel 1989, quando il Frelimo rinuncia esplicitamente all’opzione marxista-leninista”. Un’altra tappa che apre allo sfruttamento delle risorse è l’ingresso del Mozambico nella Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe nel 1999, “ovviamente – come ci spiega Diamantini – in funzione della riabilitazione delle infrastrutture di trasporto che erano andate distrutte durante la guerra”. Infrastrutture che da un lato garantiscono al Sud Africa l’accesso al porto di Maputo e dall’altro permettono di avviare lo sfruttamento delle miniere di carbone.

La scoperta dei rubini a Montepuez, del gas a Palma e della grafite a Ancuabe, tutte località situate nella provincia di Cabo Delgado, è successiva. “Non sono molto convinto, però, che questi giovani estremisti avessero consapevolezza di tutte queste cose”, aggiunge il professore. “Certamente sapevano dell’espulsione dalla terra nei giacimenti di Montepuez e avevano sotto gli occhi i cambiamenti che stavano investendo Palma e il sottostante promontorio di Afungi dove a un certo punto la Total avvia i lavori per la realizzazione della Cidade do gas”.

“Ma una cosa è evidente – continua il professore – se teniamo presenti da un lato la povertà della popolazione, le disuguaglianze sociali e la corruzione dilagante, e dall’altro l’arricchimento di pochi e la creazione di strutture moderne ed efficienti destinate però ad attività in cui la popolazione locale non trova spazio, non possiamo sorprenderci del senso di esclusione e del risentimento contro il governo, così come del fatto che questo stato di cose diventi una leva per il reclutamento, da parte di al-Shabaab, di giovani ai quali, come ha affermato il vescovo di Pemba, è negato il futuro”.

Ed è proprio contro il partito di governo, il Frelimo, che al-Shabaab lancia di continuo le proprie invettive.

“Maledizione delle risorse” in Mozambico

Lo sfruttamento delle risorse da parte di terzi non riguarda solo ed esclusivamente Cabo Delgado, ma abbraccia purtroppo tutto il Mozambico. A quello delle risorse naturali e della terra si aggiunge anche lo sfruttamento intensivo delle foreste, il cui legname è destinato in gran parte alla Cina.

“La domanda che, giunti a questo punto, ci dobbiamo porre è: a favore di chi interviene lo sfruttamento delle risorse?”, si chiede Diamantini. “Innanzitutto a favore delle stesse compagnie concessionarie, poi a favore delle élite che governano il Paese. I proventi, soprattutto in tasse, dell’estrazione dei minerali, della produzione elettrica, del land grabbing e della stessa produzione industriale – si pensi alla Mozal, il grande impianto di alluminio che opera vicino alla capitale – rimangono in larga parte a Maputo, dove alimentano oltre alle élite la crescita di un ceto medio che non è presente in altre città. Non vengono di certo impiegati per attivare politiche credibili di sviluppo per l’insieme del Paese”.

Qui entra in gioco un concetto che gli economisti chiamano resource curse (“maledizione delle risorse”). “La maledizione delle risorse fa riferimento proprio a questo stato di cose – chiarisce il professore – che possiamo riassumere così: se la presenza di grandi risorse e di un enorme potenziale di ricchezza torna a vantaggio di pochi e non riesce a tradursi in politiche di sviluppo rivolte all’insieme della popolazione – soprattutto a causa della corruzione e del malgoverno – si ingenerano disuguaglianze tali da produrre una perenne situazione di instabilità che alimenta i conflitti”.

Come appalta le risorse, il governo mozambicano “ha appaltato” anche la gestione del conflitto

Nell’affrontare il conflitto, il governo mozambicano sta replicando lo stesso schema che utilizza per gestire le risorse. Oltre alle forze governative, la FADM (Forze Armate del Mozambico) e la UIR (Unità di Intervento Rapido), per combattere contro al-Shabaab e per difendere i siti dove vengono estratte le risorse il governo mozambicano ha assoldato alcune compagnie militari private, prima fra tutte la Dick Advisory Group, fondata dal colonnello sudafricano Lyonel Dick. La sola risposta militare, per di più affidata a truppe speciali se non a mercenari, è secondo il professore il terzo fattore che agisce nel conflitto di Cabo Delgado.

Entrambe le parti – forze governative e chi per loro da un lato e gruppo estremista dall’altro – violano il diritto internazionale umanitario, il quale sancisce che in un conflitto armato i civili non possono mai essere oggetto d’attacco. “All’inizio del conflitto le truppe governative  hanno colpito indiscriminatamente tutti coloro che si professano musulmani, perché accomunati ad al-Shabaab”, spiega Diamantini. “Questo nonostante la presa di distanza delle autorità religiose musulmane. Ciò ha spinto altri giovani a unirsi ad al-Shabaab. Quanto ai mercenari che combattono per conto del governo, è provato che mentre utilizzavano gli elicotteri in attacchi contro i jihadisti hanno sparato sulla popolazione civile con cui questi ultimi si erano mescolati. Dall’altra parte ci sono i crimini che commettono di continuo i jihadisti, in cui ritroviamo il campionario cui ci hanno abituato in questi anni le cronache,  comprese le decapitazioni e il rapimento delle donne e di giovani adolescenti. Insomma, una spirale infernale”. Uccisioni e violenze indiscriminate che concorrono all’esasperazione di un conflitto la cui soluzione è affidata, al momento, esclusivamente alle armi.

Conclusione

Riepiloghiamo quindi le tre concause del conflitto mozambicano indicate dal professor Diamantini.

La prima è la radicalizzazione di alcuni giovani musulmani che hanno formato un gruppo jihadista che i locali chiamano Machababos, dal somalo al-Shabaab (“la gioventù”). Si tratta soprattutto di Mwani, una popolazione di Cabo Delgado dedita al commercio costiero e quindi in contatto da sempre con il mondo musulmano. Questa radicalizzazione è intervenuta con la presenza, a Cabo Delgado, di estremisti islamici provenienti soprattutto dalla Tanzania. Viene riportato che tuttora nella leadership di al-Shabaab sono presenti tanzaniani e altri stranieri. Non ha trovato però riscontro l’affiliazione di al-Shabaab allo Stato Islamico, anche se appare evidente che la prosecuzione del conflitto potrebbe spingere a questo connubio.

La seconda, invece, è il modo con cui il governo mozambicano gestisce – o meglio, non gestiscele risorse, appaltando a grandi investitori stranieri il loro utilizzo. Il governo mozambicano, in tutto ciò, accumula le tasse pagate dai concessionari. Questi proventi vengono ripartiti privilegiando pochi gruppi sociali. Questo mantiene il Paese e in particolare le province di Niassa, Nampula e Cabo Delgado in uno stato di povertà in cui soprattutto i giovani non ravvedono un futuro, diventando preda della propaganda jihadista.

La terza e ultima causa è la violenza con cui viene gestito il conflitto di Cabo Delgado, che non risparmia neppure la popolazione. Una violenza che, come avviene con la gestione delle risorse, viene anche appaltata. Alle due fazioni in campo, al-Shabaab e le milizie governative, si aggiungono infatti i mercenari pagati dal governo mozambicano e dalle compagnie private assoldate per difendere i giacimenti di minerali e per debellare l’estremismo islamico. La violenza indiscriminata, che si iscrive in una risposta esclusivamente militare ai jihadisti, finisce con l’esacerbare la popolazione spingendo alcuni, fosse solo in cambio di cibo, vestiario e soldi, a schierarsi con il campo jihadista.

Per concludere, affrontiamo una questione legata al land grabbing  che però riguarda da vicino il tema delle risorse. “C’è un’obiezione ricorrente, a fronte delle critiche all’accaparramento della terra, ed è: Vogliamo continuare ad alimentare l’agricoltura familiare quando questa non ci porta fuori dalla povertà?”, spiega Diamantini. “Quindi perché non sostituire l’agricoltura familiare con un’agricoltura intensiva, che produce più reddito?”.

Ricordiamo che l’aumento del Prodotto interno lordo non garantisce da solo la sostenibilità economica, la quale a sua volta non può essere disgiunta da quella sociale e ambientale. Il PIL in tal senso è un pessimo indicatore: servono anche politiche credibili di sviluppo e di redistribuzione delle risorse. “Se tutto si svolgesse altrove e in un’altra epoca, l’obiezione alla quale ho fatto riferimento potrebbe avere un fondamento. In fondo è quello che è accaduto in Europa e in altre parti del mondo. Ma in tanti Paesi africani, oggi, l’espulsione dalla terra non è compensata da un posto di lavoro in fabbrica, come accadeva in Inghilterra durante la rivoluzione industriale. Non è compensata da nulla, tanto meno da politiche pubbliche che consentano l’ingresso in altri settori dell’economia. Non è compensata neppure da altra terra, visto che nei casi che abbiamo sotto gli occhi ai contadini viene riassegnata terra non fertile”, conclude Corrado Diamantini. “Alle politiche pubbliche è strettamente legata anche la questione delle risorse. Per i rubini, il gas e tutte le altre risorse presenti in Mozambico, si coinvolga pure una grande impresa nel loro sfruttamento, visto che sa come farlo e ha i capitali per farlo. Ma senza farne un soggetto extraterritoriale che compie a piacimento scelte, legate allo sviluppo, che coinvolgono poi i luoghi di vita, le infrastrutture e l’ambiente. E poi si vincoli la concessione alla realizzazione di progetti rivolti a migliorare sostanzialmente le condizioni di vita delle popolazioni locali oltre che all’esborso di oneri fiscali commisurati ai guadagni. Per costruire finalmente, con questi proventi, le basi per lo sviluppo di un Paese che, mentre combatteva il colonialismo, sognava di conquistare  dignità e  benessere”.

Bibliografia

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Observatorio do Meio Rural, Caracterização E Organização Social Dos Machababos A Partir Dos Discursos De Mulheres Raptadas, aprile 2021

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Cabo Delgado. Emergenza sfollati, Medici con l’Africa Cuamm, 18 marzo 2021

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Bambini ferocemente assassinati in Mozambico, Save The Children, 16 marzo 2021

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UNDP, Human Development Report 2019, 2019, New York (hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2019.pdf)