La testimonianza di Giulia Marras, nuova collaboratrice del CAM in Mozambico, dove supporta lo staff nel coordinamento generale

Ero emozionata per il mio ritorno in Mozambico.

Il primo amore non si scorda mai, e questo paese è stato il mio primo amore verso la sfida, il camminare a piedi scalzi e non temere che si sporchino, il camminare senza ombrello e non temere di bagnarmi.

Avevo già vissuto, infatti, un anno a Maputo, ma nulla avrebbe potuto prepararmi al verde brillante di Caia, che risalta così prepotentemente con la sabbia ocra.

Il mio benvenuto a Caia non è stato dei migliori: settimane senza internet per l’instabilità politica del paese post elezioni e un caldo atroce (42 gradi sono troppi anche per chi ama il sole, soprattutto se non abbinati a un oceano ghiacciato!) ma subito ricordo cosa mi mancasse del Mozambico: non si può iniziare una conversazione, neanche quella più lavorativamente urgente, senza prima chiedersi: “Como està? Tudo bem?”. Il portoghese torna a riempirmi la bocca, e da lì è tutto in discesa: i manghi dolcissimi, la mia adorata matapa e il sole più grande che io abbia mai visto, e che probabilmente mai vedrò, in tutta la mia vita.

Per iniziare a ingranare al lavoro faccio i giri nei punti in cui abbiamo le attività per conoscere un po’ meglio la consistenza della presenza del CAM. Vado al centro di salute, nei punti in cui i nostri attivisti svolgono test dell’HIV; vado in villaggio a tre ore dal centro abitato dove vengono svolte le “Brigate Mobili”: vere e proprie brigate mediche per raggiungere le comunità più remote.

Visito le nostre “Escolinhas”, istituti prescolari dove i bambini dai 3 ai 5 anni possono cantare, giocare, imparare un po’ di portoghese, e mangiare un piatto caldo. Infatti, la cosa che più mi mette in difficoltà, è che il mio portoghese non è sufficiente a comunicare efficacemente con la comunità, perché qui parlano principalmente Sena, la lingua locale, quindi posso solo sperare che i bambini mi leggano occhi e sorriso.

La vita qui passa lenta, le uscite prevedono un giro al mercato quando il sole non cuoce i passanti (magari dal sarto, per farci fare un capo di capulana), o una giocata a biliardo in uno dei pochissimi bar che ci sono qui. E così ho il tempo di ritrovarmi.

Speravo proprio di avere la possibilità di ritrovarmi nello stesso posto in cui mi sono trovata: in Mozambico.