Le riflessioni di Riccardo Reggidori, studente dell’Università di Trento da poco rientrato da un periodo di ricerca sul campo a Beira.
Un paio di anni fa ad un congresso sulla cooperazione e la geopolitica nel continente africano, sentii per la prima volta parlare del CAM e dei progetti che portava avanti in Mozambico ed a Beira. Fui molto colpito perché a parlarmene era una giovane ricercatrice dell’Università di Trento appena rientrata dalla sua ricerca a Beira. Forse l’entusiasmo della ricercatrice o forse i giochi della vita, dopo quasi due anni tocca a me la medesima “sorte”. E ciò di cui sono felice è che sento di condividere il medesimo entusiasmo che mi aveva colpito quando avevo sentito parlare per la prima volta di Beira.
Beira è una città pacifica e accogliente, come nessuna delle varie città del continente in cui sono già passato. Se penso ad altre megalopoli africane in cui ho vissuto l’immagine che ho, prima facie, è traffico, confusione, rumore. Mentre, se penso a Beira, è pace e tranquillità. Anche se purtroppo, mentre sto scrivendo queste righe, ricevo notizie di disordini da Beira, dalla stessa Beira chi mi ha accolto con la sua profonda pace questa estate.
La ragione della mia presenza a Beira è stata una ricerca, condotta per conto del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento, sui modelli di formazione quadri e costruzione/sviluppo di capacità, della loro efficacia e dei relativi metodi di valutazione nell’ambito dei progetti di sviluppo in Africa sub-sahariana, prendendo come caso di studio il progetto MUDAR.
A tale scopo, l’attività su campo si è divisa in tre fasi. La fase iniziale è stata un’osservazione delle formazioni tenute dall’Istituto di Formazione in Amministrazione Pubblica e Autarchica di Beira (IFAPA) e destinate alle cariche politiche ed al personale pubblico del Consiglio Municipale della città di Beira (CMB). Durante la seconda fase ho condotto due serie di interviste semistrutturate. La prima serie è stata sottoposta a tutti i formatori di IFAPA, concentrandosi in particolare sullo studio dell’efficacia dei metodi di formazione E-learning diacronici; mentre la seconda è stata sottoposta ad un campione dei funzionari del CMB (circa il 50% dei partecipanti), con l’obbiettivo di individuare eventuali processi di “rimodulazione” delle formazioni. Infine si è condotta un’osservazione partecipante delle attività di mentoring e pianificazione delle formazioni e delle attività di monitoraggio e valutazione condotte all’interno del CMB.
Quello che più ho apprezzato del mio lavoro di ricerca è stato poter lavorare con molte organizzazioni ed enti, sia mozambicani che italiani. Tra questi desidero ringraziare l’Università degli Studi di Trento, per l’opportunità datami, la Provincia Autonoma di Trento ed il Centro per la Cooperazione Internazionale, per la disponibilità e la collaborazione, l’IFAPA di Beira, per l’accoglienza e la fiducia al mio lavoro, ed il Consiglio Municipale di Beira, per la disponibilità e la volontà di partecipazione. Infine, non per captatio benvolentia, il CAM, che come ente implementatore gioca un ruolo fondamentale e allo stesso tempo difficile, sia per le responsabilità che per i problemi che deve affrontare. E che desidero con massima onestà ringraziare poiché mi ha accolto in modo disinteressato, fornendomi costante ed efficace supporto logistico, e non solo.
Nonostante le difficoltà che ci possano essere, ciò che è fondamentale, a mio parere, è in tutto l’operare umanitario rimanere umani. E io sono contento di vedere in questa organizzazione ancora vera umanità. Umanità nella cena con Giampaolo e Giovanna che mi raccontano degli anni ’90 in Mozambico. Umanità di Marco, il nuovo rappresentate paese, che mi prende in giro per il taglio di capelli fatto al Grande Hotel. Umanità di Julai e Hermenegildo e dei pranzi in loro compagnia nelle baracche di Macuti Miquejo a base di xima, corbina e molho de tomato. Umanità di tutti quei colleghi, di cui non ero collega, ma che mi hanno accolto sempre con grandi sorrisi.
Umanità che deve rimanere fondamento di un’organizzazione e del suo operato e che auguro rimanga, o anzi che si fortifichi. Perché è dall’umanità, da quell’uomo che insieme con altri uomini si educa insieme e si libera insieme, citando Freire, che nasce il vero sapere, e con esso il vero sviluppo umano. Sviluppo il cui fine non può che essere la pace. Pace come presupposto da cui partire, ma anche, allo stesso tempo, come fine verso cui tendere. Perché come disse Andrea Riccardi, uno dei mediatori della pace del 4 ottobre, quando arrivò in Mozambico nel lontano 1986, “la pace è come l’aria, che quando esiste non si nota, ma quando non esiste, si muore ”.